mercoledì 16 marzo 2011

Cronache da un Giappone ferito

Finalmente sono riuscito a risentire le voci dei giapponesi che conosco. Alcuni di loro. E da loro ho saputo che altri amici e conoscenti stanno bene. Tramite posta elettronica mi avevano dato notizie di prima mano, quasi in diretta, venerdì stesso. Ma udire una voce è un’altra cosa. Da quella di solito capti emozioni, timori, paure, gioia. Non da quella dei giapponesi, tuttavia. Dopo i primi momenti di fervore, la maschera cala di nuovo sul volto, e molto più dentro.

Le tivu ci aggiornano, ora dopo ora, sullo stato di quei reattori capricciosi che non ne vogliono sapere di farci vivere tranquilli, e già il panico è diventato internazionale, con allarmi e spauracchi di contaminazione nucleare che assillano Corea e Cina. Continuano a ripassare sullo schermo le immagini di quell’orrenda e irrefrenabile ondata nera che tutto travolge e tutto invade. Oggi, come in ogni terremoto che si rispetti, si ritrovano dei superstiti, sopravvissuti chissà come in mezzo alle macerie. Ma non si vedono né applausi, né high-five, né urla di gioia. I soccorritori non hanno né tempo né forse voglia per esultare. Troppo immane il disastro.

Ascolto la voce, dall’altra parte del filo, e penso: è impossibile. È una cronaca razionale e ragionata, senza il minimo abbandono all’emozione. Mi parla di lavoro, come se nulla fosse stato. Solo quando lo interrompo – ho già saputo da altri quello che forse avrebbe tenuto per sé – ammette di non essere ancora riuscito a parlare con i genitori, che vivono proprio nella prefettura di Miyagi. L’unica cosa che sa – e dici poco! – è che sono vivi. Ma la sorte della loro casa è ignota. E teme il peggio, avendo appreso che sono ospitati in un centro di accoglienza. La prossima settimana cercherò di raggiungerli, mi dice. Fa una lucida analisi dei rischi. I treni sono ancora fermi, i pilastri di supporto della massicciata crepati dal sisma. Di aerei nemmeno a parlarne, l’aeroporto ancora inagibile. L’unica maniera è andare su in auto. Se non mi blocco per strada, aggiunge: la benzina è razionata, e già scarseggia. Anche a Tokyo la corrente elettrica va e viene, le centrali nucleari sono ferme, manca potenza per alimentare quella che fino a venerdì scorso alle 14 e 46 non era una nazione ma una macchina perfetta, che non perdeva un solo battito.

Gli dico solo questo: ti parla un fratello, non un collega. Devi andare. Sono i tuoi genitori, non importa dove siano adesso, hanno bisogno di rivedere il proprio figlio. Vai e trovali.

Sorride confuso, e solo un orecchio allenato è capace di riconoscere un sorriso in una comunicazione non visiva. Mi ringrazia con un inconsueto calore.

La paura non è finita. Lo sarà quando sapremo che la minaccia di inquinamento atomico sarà rientrata. Ma questo stillicidio di notizie, un saliscendi di speranza e panico, miglioramenti apparenti e rischi rivelati, perdite sì o no, contatori geiger e uomini in tuta integrale, inquieta anche da lontano, e fa affiorare dubbi e domande retoriche: se neppure nel tecnologicissimo e attentissimo Giappone sono in grado di prevedere e controllare le incognite ed i mostruosi pericoli di una centrale nucleare, che speranza abbiamo di esser capaci di farlo noi, faciloni e approssimativi italiani, mal addestrati e peggio educati al rigido rispetto delle regole, indispensabili quando si maneggiano panetti non di burro o formaggini, ma di cesio, uranio o stronzio? Davvero vogliamo lasciare in eredità alle prossime generazioni una simile spada di Damocle? A noi, e non ai posteri, l’ardua sentenza.

E per concludere. Non è dedicato all’amico nipponico con cui ho parlato finalmente oggi. Perché so che la sua non è indifferenza ma capacità di mascherare ogni dolore e le forti angosce dietro ad una facciata di ineffabile calma. Suprema arte giapponese, raffinata in una vita di costante e pedissequo esercizio. Ma il pensiero degli errori clamorosi che si fanno nello scegliere le priorità della propria esistenza mi ha attanagliato tutto il giorno. Così appropriati, mi sono tornati a mente gli iconografici versi del grande Michele Serra, tratti dalla poesia Febbraio, scritta nel 1981 “alla maniera” pascoliana. Trent’anni, e son sempre attuali. Li dedico ai tanti vanesi che, tutti presi dalle proprie vacue faccende, perdono di vista i veri valori, le cose davvero importanti nella vita.

Un sarto disegna gingilli
da vendere a cento milioni
ha il cancro ma pensa ai bottoni:
i sarti son tutti imbecilli.

4 commenti:

  1. Molte persone giapponesi ed europee intervistate alla TV si lamentano per la mancanza d'informazioni attendibili. In questo caso non è questione di tecnologia ma di rispetto. Le spade di Damocle non sono sospese soltanto sulla testa del paese che le autorizza, ma del mondo intero.
    Spero che il tuo amico ritrovi la sua casa
    intatta. D'accordo, i sinistrati sono migliaia, ma questo mi sembra di conoscerlo...
    Questo Giappone in presa quasi diretta ci fa sentire il dramma più vicino. Ciao HP, a presto

    dragor (journal intime)

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  2. Quando ho aperto il PC, dopo la notizia del terremoto, ti ho cercato sul blog, e ho tirato un sospiro di sollievo trovando questo post: non eri là, quindi!
    Finalmente oggi riesco anche a scrivere.
    Ciao
    Tesea

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  3. ciao Dragor,

    certo, la mancanza di informazioni attendibili è un problema comune a molti disastri, ambientali e non. Chissà perchè non sono meravigliato: è difficile che i giapponesi (le autorità, i responsabili) ammettano candidamente di avere fallito. Perchè non è previsto che si possa fallire miseramente. E perchè il concetto di qualcosa di superiore (sia esso in azienda, al governo, nella vita in generale) che sa cosa sta facendo e si prende cura di tutti, è vitale per un popolo privo di iniziativa privata, abituato ad essere guidato dalle regole e dalle consuetudini. Accorgersi che chi dovrebbe decidere sbaglia o non sa cosa fare, è un durissimo colpo al morale dei giapponesi.

    Grazie della visita e del commento, a presto,
    HP

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  4. ciao Tesea,

    grazie della tua partecipazione! Non sono stato così lontano dall'essere lì, una settimana prima appena ero proprio a Tokyo.

    Grazie del commento, a presto,
    HP

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