venerdì 20 gennaio 2012

Una voce fuori dal coro

Shinjuku, quartiere denso di ristorantini da tempura e sushi-bar. E’ l’ora del passeggio del dopo cena. La macchina della polizia gracida alcuni ordini dal suo altoparlante esterno, che permette agli agenti di impartire disposizioni senza scendere dalla vettura. La grossa limousine bianca fermatasi in seconda fila, oggetto del richiamo, scarica senza fretta un personaggio, la cui comparsa sulla strada viene riverita con profondi inchini dal suo scagnozzo, sceso di corsa ad aprirgli la porta. Poi lo stesso continua la sua pantomima a beneficio dei poliziotti, quasi a scusarsi di avere causato un problema alla viabilità con la sua fermata.

Do you speak english?, ci apostrofa un ometto un po’ male in arnese che ha voglia di attaccare bottone. Sì che parliamo inglese, la cosa strana è che sia lui a parlarlo, date le sue fattezze giapponesi. Ci chiede se sappiamo chi è quello che è sceso dalla macchina oggetto della nostra curiosità. Mafia dice, proprio così, non usa neppure il termine che designa la mafia giapponese, la Yakuza. Potenza delle parole. E non sa neppure che siamo italiani, forse avrebbe usato un’altra parola. Ci prende per australiani. Poi, appresa la nostra nazionalità, il ghiaccio è rotto.

E da sotto il ghiaccio emerge un fiume impetuoso di parole, certo non benevole nei confronti della sua razza. Una critica serrata all’intero popolo giapponese, dipinto come insensibile, senza opinioni proprie nè quindi capacità critica, senza senso del contatto umano, dei robot insomma. Non meglio sono considerate le donne, descritte senza mezzi termini come senza cervello. Forse un po’ riduttivo o generalizzante? Di certo non deve avere avuto delle belle esperienze, visto che, arrivato ai circa cinquant’anni che ci dichiara, non si è ancora sposato. E ingenuamente ci interroga, per sapere se secondo noi farà ancora in tempo a trovare l’anima gemella.

E le regole che scandiscono la vita? I giapponesi sono trattati come bambini di sette anni (testuale!), troppi automatismi ad esempio sono parlanti, e non fanno altro che ringraziare continuamente i fruitori, nonché ripetere banalità evidenti anche ad un babbuino, come un ascensore che ti dice “premi il pulsante, ora saliamo, ora scendiamo, grazie di avermi usato” oppure un treno od una metropolitana che ti avverte “stiamo partendo, stiamo per fermarci” e via discorrendo.

Trattate le regole formali, critiche piovono anche sulla capacità di fare rispettare la legge. La Yakuza è troppo potente, nessuno fa nulla per combatterla, non come da voi che se non altro cercate di opporvi alla mafia – anche se poi i giudici saltano per aria, avrei voglia di aggiungere, ma lasciamolo nella sua illusione.

E che dire dei rapporti interpersonali? L’amicizia, come la intendiamo noi, pare non esista. Puoi conoscere da vent’anni un amico, e questo difficilmente ti inviterà a casa sua, ti presenterà la moglie, ti parlerà dei figli. Robots, come a più riprese sottolinea.

Deve essere veramente dura la vita in Giappone per un emarginato. Dopo un periodo di vita negli Stati Uniti, dove ha studiato e poi ha fatto il giornalista e lo scrittore, non è riuscito a riadattarsi allo stile giapponese, forse non gli è neppure stata data l’opportunità di farlo.

Ha cercato, con discrezione, quasi con pudore, di venderci una copia di un suo romanzetto pubblicato a Los Angeles, direi di spunto autobiografico, dove si raccontano gli Stati Uniti visti dagli occhi di un giovane giapponese bloccato da un guasto alla macchina nel Nebraska.

Ci ha raccontato di come sia difficile fare capire un libro ad un giapponese, e che lui parla preferibilmente con gli stranieri perché lo ascoltano, anche se non lo conoscono, ed alla fine qualcuno gli compra anche una copia. Ci ha detto come sia brutto essere cacciati da un ristorante a pedate, perché si disturbano gli ospiti.

Aveva probabilmente ancora voglia ed argomenti per parlare chissà quanto, ma si era fatto tardi. Eravamo in due, gli abbiamo comprato una copia a testa. Sperando che lo aiuti a continuare i suoi viaggi. Ci ha detto che avrebbe il desiderio di andare a vedere l’Africa.

Coraggio, Hideo. Il mondo non è tutto così brutto come lo vedi tu con gli occhi di un giapponese non integrato, rifiutato dalla sua stessa gente, popolo senza pietà né compassione. Parole pesanti come pietre, dettate dalla delusione di una vita errabonda. Ti auguro di trovare, nel tuo peregrinare, altra gente, disposta a offrirti un po’ dell’umanità che non riesci ad ottenere a casa tua. E grazie per averci fatto sentire una voce fuori dal coro.


Prima pubblicazione : 18 settembre 2007

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