martedì 17 dicembre 2013

Whistleblowers

C'era una volta un piccione viaggiatore. Che si portava appresso un curioso taccuino, e raccontava a tutti che quella era la sua macchina fotografica.

Poi un giorno il piccione cadde in tentazione. Fedele fino ad allora al mantra della pellicola, capitolò di fronte alle lusinghe della visione immediata del risultato, della leggerezza e compattezza del nuovo oggetto di culto, della praticità di avere con sé scorte quasi illimitate di fotogrammi. Insomma, in due parole abbandonò il rullino per il digitale.

E grazie, o forse dovrei dire per colpa di macchine sempre più piccole e potenti, pronte allo sfodero e allo scatto senza pensieri e senza titubanze, che tanto se vien male si cancella (poi) e se ne fa un’altra (ora), il taccuino lentamente fu messo da parte. Note, appunti e racconti in fieri divennero via via più rarefatti, la matitina le cui mine prima duravano il breve arco di una stagione riposò inutilizzata tra le pagine bianche che lentamente ingiallivano nella vana attesa di essere tappezzate di parole.

Era facile – e perfino divertente – scegliere qualche scatto e recensirlo brevemente. Un’istantanea parla da sé, talora non ha bisogno di nient’altro se non un titolo.

A volte ritornano. E questo capita quando il mondo ti passa davanti, ma le immagini scorrono troppo rapide per riuscire anche solo ad inquadrarle. Allora ti ricordi che ci vogliono la memoria, gli occhi e la penna, per riprodurle. E soprattutto il cuore.

Come mi è capitato, di recente, a Manila. Viaggiando in mezzo al traffico si vedono un sacco di affreschi di umanità varia. Scene di un attimo. Episodi minimi di vita quotidiana.

Cani protagonisti, nel bene e nel male. Vedo un cagnetto che fa da polena su un carrettino. Gli occhi sono socchiusi e sembra quasi che sorrida. Data la modesta velocità, non credo fosse per proteggerli dal vento. Magari una istintiva difesa contro l’inquinamento che ammanta come un sudario caliginoso la capitale filippina. Poco più in là, sulle spesse lastre metalliche di un cancello marrone, una mano ferma ha vergato a pennello bianco la scritta: beware of killer dogs. Attenti ai cani assassini. Per tenere lontani i malintenzionati? Forse. Chi ha veramente dei killer dogs non lo pubblicizza, per non dare inutili vantaggi ai banditi.

In certe ore (quasi tutte quelle del giorno) nel caos indescrivibile il traffico scorre lentissimo. Ore per fare pochi chilometri. Dalle onnipresenti jeepneys saltano fuori al volo dei passeggeri, subito rimpiazzati da altri clienti. Il trasporto pubblico è quasi interamente appaltato a questi microimprenditori dalle gomme lise, dal molto acciaio cromato e dalle decorazioni vivaci, spesso a tema religioso. L’autista, per aver sempre pronto il resto per i passeggeri, viaggia con delle banconote di piccolo taglio, piegate in due per il lungo, infilate tra le dita. Eppure riesce anche a guidare, spesso scalzo o in sandali, sgasando rumorosamente per conquistare di prepotenza la precedenza nel corpo a corpo tra lamiere di piccolo cabotaggio.

Un ragazzo semivestito fa la doccia sul marciapiede, attingendo l’acqua da un idrante appositamente svitato. Non gl’importa un fico secco della gente intorno, che peraltro non lo degna d’uno sguardo, mentre finisce le proprie abluzioni e sbuffa intorno l’acqua fredda che si versa sulla testa a mestolate, con una cucchiaia di plastica rossa da cereali.

All’angolo tra due strade sul marciapiede c’è un cubicolo di cemento arancione con una tettoia rialzata in lamiera. Ci sta dentro a malapena una persona, e la testa rimane a vista, per denunciarne senza dubbi l’occupazione. Public urinal, riporta una scritta manuale in bella grafia. Ma non basta: “courtesy of...”. Come dire, qualche mediocre amministratore locale ha sentito l’esigenza di far presente ai suoi concittadini che quel lussuoso vespasiano l’aveva fatto installare proprio lui in quel cantone, e quindi si aspettava della riconoscenza – sotto forma di voti, va da sè.

A proposito di politici. La gente è furibonda con la classe dirigente, che incassa stipendi da favola ma non si accontenta di questi. Pork barrel è sulla bocca di tutti, vivace espressione che indica l’uso fraudolento di fondi destinati ai lavori pubblici. L’ultimo scandalo? Nelle Filippine l’elettricità non viene distribuita con reti sotterranee. Come in Giappone, il paesaggio è costellato di pali della luce e talora di inestricabili matasse di fili che chi ci capisce è bravo. Tutto questo sartiame elettrico è stato spazzato via dai venti a 300 all’ora del tifone Yolanda, nell’isola di Leyte. Ricostruire queste infrastrutture di distribuzione d’energia si stima costi centinaia di milioni di dollari. Chi pensate che li pagherà? Ma naturalmente la popolazione sinistrata, che se vorrà accedere ai rinnovati servizi elettrici si troverà in bolletta la maggiorazione necessaria a coprire i costi della nuova rete.

Intanto a Manila il teatrino continua, con scaramucce tra congressmen (ma anche women) che si accusano l’un l’altro di essere ladri e approfittatori. Abitudine talmente diffusa e radicata da aver dato origine ad una figura molto in auge oggi : il wistleblower. Letteralmente chi soffia nel fischietto. Metafora per indicare chi è dell’ambiente e, improvvisamente schifato dalla troppa disonestà, si decide a parlare per denunciare il malaffare e la corruttela imperante tra chi governa. Mestiere apparentemente rischioso, quello del whistleblower, al punto che c’è chi ha proposto un progetto di legge per proteggere e incentivare con benefici economici questi fischiatori pentiti.

Forse è venuto il momento di ricordare ai miei quattro lettori che sto parlando delle Filippine. Che so io, vi foste distratti un attimo e la mente vi avesse portato a pensare che stessi raccontando di un’altra nazione a noi cara. Vedete voi quale.





2 commenti:

  1. Tutto il mondo è paese?
    ;)
    Ma il bello, nelle Filippine come ovunque, è che ci sia sempre un piccione con un curioso taccuino e una penna che registra immagini, curiosità e riflessioni.
    HP sei sempre uno straordinario narratore!
    Irene

    RispondiElimina
  2. ciao Irene,

    grazie di esser passata da qui ed aver avuto la pazienza di leggere una delle lunghe storie del piccione viaggiatore!

    E grazie anche dei complimenti!!

    Buone feste (quello che c'è rimasto, Natale ormai è andato...) e a presto!

    HP

    RispondiElimina